Camillo, un giovane sbandato, si libera dal peso schiacciante del vuoto affrontando i “puzzi” micidiali, la sporcizia e la disperazione negli ospedali.

Un “idiota”, un uomo senza lettere, scrive alcune delle pagine più sensazionali della “regola di ben servire gli infermi”.

Un uomo “rude” assegna a sé e ai propri figli una “vocazione di madre”. È un personaggio incredibile, “malato d’amore per il malato”, che ha avuto il coraggio della tenerezza e ha adottato la spiritualità dell’umano; uno di ieri da richiamare d’urgenza in servizio per liberare il progresso dalla disumanità!

La vocazione infermieristica di S. Camillo De Lellis è sorta in modo casuale, senza una formazione propedeutica e l’acquisizione di un diploma ed egli ha attuato un’assistenza che potremmo definire abusiva, in pratica senza un’iscrizione all’albo professionale. Possiamo tuttavia affermare, dopo uno studio approfondito sul suo operato, che la “Nuova Scuola di Carità” è sbocciata con lui.

Questa Nuova Scuola di Carità ha oggi lo scopo di formare schiere di uomini e donne (suore, sacerdoti, fratelli e laici quali infermieri, medici, volontari ecc.) che si dedichino al malato con cuore di madre.

 

Cenni storici

Un’opera di così vasto respiro porta avanti, in modo anche indiretto, cioè per deduzione, il modello teorico del XVI secolo.

È proprio in questo periodo, a cavallo tra il XVI ed il XVII secolo, che si colloca la figura di S. Camillo De Lellis (nato a Bucchianico di Chieti, in terra d’Abruzzo, nel regno di Napoli, il 25 maggio 1550) ed ha come sfondo la Roma del Cinquecento e un’Italia divisa in numerosi staterelli. Mentre l’Europa riesce a respingere le invasioni dei Turchi, alcuni stati italiani subiscono il predominio straniero degli spagnoli e dei francesi: la società è spesso tormentata da guerre, carestie e pestilenze nonché dalla permanente povertà delle classi più umili.

La Chiesa è alle prese con i movimenti di Riforma protestante che ne lacerano l’unità e risponde con le iniziative della Riforma Cattolica e soprattutto con una nuova fioritura di ordini religiosi dediti alle opere di carità. In ambito sanitario la Chiesa continua ad offrire i suoi ospedali, come aveva fato nel Medioevo con l’istituzione degli Hotel – Dieu e ad animare associazioni caritatevoli popolari come le Compagnie del Divino Amore e le Misericordie.

Anche i Principi italiani e stranieri ritengono importante per il loro prestigio costruire grandi ospizi per l’accoglienza e l’assistenza dei malati poveri e ne affidano la progettazione ai migliori architetti dell’epoca. Ma all’enfasi edilizia e al decoro artistico fanno da contrasto vistose lacune nel campo dell’igiene e delle cure, oltre alle gravi carenze nel campo dell’assistenza, affidata a gente mercenaria e impreparata, priva non solo di qualsiasi istruzione sanitaria, ma spesso anche di umanità: i malati subiscono la più completa emarginazione, vengono maltrattati con gesti e parole, lasciati nella sporcizia, malnutriti, abbandonati ai capricci di inservienti prezzolati.

Questa era la situazione di fronte alla quale si trovò San Camillo nell’ospedale San Giacomo dove entrò nel 1575 per curarsi una gamba ulcerosa: una piaga che cambierà il corso della sua vita. Le condizioni di abbandono degli ammalati lo spinsero a dedicarsi totalmente al loro servizio. Nominato maestro di casa, ufficio notevole che l’impegnava a guidare e sorvegliare il personale d’assistenza, Camillo con l’entusiasmo del convertito e con la forza della sua tempra abruzzese, avverte subito dove si trova la fonte del degrado. Nel 1582 nasce la Compagnia dei Servi degli Infermi.

Quella operata da San Camillo fu una vera e propria riforma sanitaria lo stesso Papa Benedetto XIV, nel proclamarlo Santo (1746) affermerà che Camillo De Lellis è stato l’iniziatore di un “nuova scuola di carità”. Altri pontefici ribadirono la sua esemplarità: Leone XIII lo dichiarerà Patrono degli ospedali e dei malati, Pio XI Patrono degli Infermi, Paolo VI Protettore particolare della sanità militare italiana.

 

Riforma del concetto di assistenza

L’operato di San Camillo va ricondotto alla sua enorme carica spirituale: egli unisce alla consacrazione dei consigli evangelici il voto di servizio dei poveri e dei malati anche a costo della propria vita. Poiché l’immagine umana più alta di amore e dedizione è quella della madre, San Camillo propone a se stesso e ai suoi seguaci questo ideale: “servire i malati come una madre amorosa con il suo unico figlio infermo”.   

La cultura umanistica esaltava l’uomo come essere sommo e centro dell’universo. Ma quale uomo? L’uomo ideale ed eccezionale: l’individuo geniale, l’artista, il Principe. In questa cultura il povero senza prestigio e senza potere, per di più malato non trovava alcuna considerazione. San Camillo considera l’uomo “ figlio di Dio “ e spesso lo chiama  mio fratello immedesimandosi con la sua sorte. Il malato è per San Camillo veramente “l’uomo”, un uomo concreto, povero di beni ma soprattutto povero del bene della salute. I diritti dei malati non sono per lui dei principi ideali stampati sulle Costituzioni, ma sono i bisogni concreti che esigono risposta da chi sta attorno ai malati stessi. Così il concetto di persona non è per San Camillo una astrazione filosofica, ma qualcosa di incarnato e di sofferto.

Il malato, per usare le sue espressioni, è “la persona stessa di Cristo”, è “pupilla e cuore di Dio”, è “ mio Signore e Padrone “. Anche ai miscredenti, ai blasfemi San Camillo dice: “tu mi puoi comandare ciò che vuoi…”. Evidentemente la visione cristiana arricchisce la percezione umana del malato come uomo, dell’individuo che anche nella sua infermità resta sempre di una dignità unica e insopprimibile. Naturalmente San Camillo si dedica a tutto l’uomo, non solo alla sua malattia. Egli ha capito che l’uomo entra nell’ospedale con tutto se stesso non lasciando fuori niente della sua persona e della sua personalità. Quello che è importante sottolineare è la totalità di servizio che San Camillo ha affermato in rapporto alla persona umana dettando subito delle norme per rispondere a tutte le necessità personali, non ridotte alle prestazioni cliniche essenziali, ma estese a tutte quelle esigenze che gli operatori di allora, e forse anche quelli di oggi, sono portati spesso a trascurare.

Quando San Camillo raccomanda di curare la pulizia della bocca e dei denti del malato, di fargli bene il letto, quando scrive che si dia ad ognuno la maglia di lana contro il freddo o raccomanda l’igiene dell’ambiente è chiaro che egli pensa di dare al malato una accoglienza e una assistenza decorosa e familiare che lo sollevi il più possibile dai disagi e non gli dia la sensazione di essere diventato una oggetto fuori uso.

Preoccupazione costante di San Camillo fu quella di formare i nuovi seguaci: pretendeva in essi senso umano e spirito cristiano, conoscenza adeguata delle regole di assistenza e dedizione totale e affettuosa al malato. Fece lezioni pratiche di assistenza e ne sintetizzò i precetti in un primo documento di riforma sanitaria: Ordini et modi che essi hanno da tenere negli hospitali in servire li poveri infermi, un codice deontologico professionale del 1584!

San Camillo aprì  dunque la strada al concetto di istruzione formale e pratica di chi opera accanto alla persona bisognosa nel corpo e nello spirito, facendo portare in mezzo alla stanza cavalletti, tavoli, un “saccone” (materasso di paglia), lenzuola, coperte, capezzale; successivamente, vi faceva entrare una persona e, per completare l’istruzione, insegnava a cambiare le lenzuola e le altre biancherie del malato.

Per San Camillo non bastava che la tecnica venisse appresa; egli voleva soprattutto vedere con quali carità questi sapessero fare ed esclamava: “più cuore in quelle mani…!”.

Le informazioni riguardanti questo dedotto modello storico sono state ottenute attraverso l’interpretazione dei vari scritti su San Camillo, il quale, basava le sue idee, i suoi valori religiosi, umani e sociali sulla sua individuale esperienza.

Fu maggiormente influenzato dall’istruzione e dall’esempio materno, dal bisogno di trasformare l’assistenza scadente del tempo causata dalla povertà, promiscuità, dalla mancanza di igiene, di valori e di intuizioni assistenziali e pratiche.

Egli espresse le sue idee e valori attraverso la sua infaticabile dedizione presso ospedali già esistenti a Roma, nelle case private e nei tuguri. Un altro aspetto importante dell’opera riformatrice di San Camillo va visto nella sua sollecitudine ad estendere l’assistenza sanitaria fuori dell’ospedale: egli chiamava il campo dell’assistenza a domicilio il mare magnum della carità con una marea pluriforme di bisognosi, vecchi e persone sole. 

Il dedotto modello di San Camillo ha influenzato la “ Riforma Assistenziale “.

 

 

Teoria dell’intuito materno

(Lavoro deduttivo a cura degli studenti del terzo anno di corso, a.a. 99/00.

 Scuola p. Luigi Tezza  di Roma)

Informazioni generali:

 

  • Il fondamento della teoria di San Camillo è l’intuito materno verso un organismo e uno spirito debilitato.

 

  • La relazione tra intuizione assistenziale ed i bisogni reali espressi e non espressi, fornisce la base della sua teoria.

 

  • All’epoca di San Camillo, le condizioni socio economiche, belliche, poco igieniche e la peste rappresentavano di conseguenza un rischio enorme per la salute.

 

  • Secondo San Camillo, la “non” intuizione è un’assistenza mancante. Egli, infatti, affermava di: “fare tutto ciò che si deve fare ed esercitare, poi, in base a quello che lo Spirito Santo ci insegna…”.

Lui stesso intuì e conobbe, in maniera singolarissima, i bisogni degli infermi e seppe opportunamente suggerire a tutti (al Pontefice, ai Governatori, ai Priori degli ospedali, ai medici, agli infermieri…), il modo di servire con ogni perfezione i poveri infermi. Per l’utile dei malati, Camillo trovò forme eccellenti.

 

  • San Camillo descrisse alcune componenti degli organi di senso principali per fare in un modo che l’operatore acquistasse ” l’intuizione “: “mentre le mani agiscono, gli occhi devono mirare che non manchi all’infermo cosa alcuna; gli orecchi siano aperti per intendere i comandi e i desideri; la lingua per esortare il poverello alla pazienza; la mente e il cuore per pregare Dio per lui “.

 

  • San Camillo tratta tre ambienti: fisico, spirituale e sociale.

 

 

La teoria di San Camillo e i quattro concetti del metaparadigma del Nursing

 

 

  • Persona

 Per San Camillo la sua eminente carità era rivolta verso i poveri, gli infelici, i tribolati, i figli di Dio, i membri di Gesù Cristo ed i malati in specie.

“Il malato è la persona del Signore, non è soltanto una creatura nostra pari da assistere con amorevolezza materna, ma un essere superiore: gli infermi sono i nostri Signori e Padroni e noi li dobbiamo servire come loro servi e schiavi “.

Dobbiamo vedere nell’infermo ” il creatore nella creatura, Cristo impiagato “.

“Il corpo e lo spirito della persona sono inseparabili”;  la persona deve sentirsi libera nelle sue richieste senza mostrare rossore o incertezza e nemmeno credersi in dovere di ringraziare qualunque servizio “: l’infermo deve, invece, “comandare” “alla persona tutto è  dovuto”.

 

  • Ambiente

Il regno della carità ai malati ha per Camillo:

  • La sua reggia negli ospedali
  • Un campo sempre aperto e sconfinato nelle cose private
  • Le sue feste o sagre in tempo di calamità e contagio
  • Gli ospedali sono giardini deliziosi, aiuole aulenti, la mia vigna, la mia delizia, sono le nostre miniere d’oro e d’argento.

 

Camillo segnò, anche se purtroppo non ci sono pervenute, 28 ragioni da tenere presenti per innamorarsi degli ospedali ed abitarvi lietamente.

 

  • Salute
  • È poter soddisfare i propri bisogni
  • Essere liberi dalla povertà, dalla sete, dalla nudità
  • Avere un corpo sano, curato pulito, perché è cosa sacra.

Quei corpi che lui aveva davanti  tutti i giorni, deturpati, sudici, devastati, ripugnanti, erano destinati alla gloria, ad essere trasfigurati nella luce; proprio i corpi non soltanto le anime.

I corpi, dunque, sono cosa sacra, e come tali devono essere trattati con rispetto.

Le mani mercenarie, in un certo senso, li sconsacrano, li profanano.

È dunque per la riscoperta dell’uomo nella sua totalità e sacralità, anche corporea, che ritiene doveroso sostituire la categoria dei servi con i “Ministri degli Infermi”.

Facendo così, l’ospedale diventa il luogo adatto a ridare la salute, ed era nel 1500 diventato “la casa di tutti dove s’improvvisa ad essere infermiere chi vuole”.

 

Assistenza infermieristica

Deve essere:

  • Vigilante
  • Pronta
  • Prevenuta
  • Attenta
  • Squisitamente materna
  • Pronta agli imprevisti
  • Preoccupata di informare
  • Amorosa
  • Diligente
  • Tutto cuore e occhi
  • Umile

 

L’infermiere viene denominato “Caritas” perché “tutto in esso deve essere carità e soltanto carità”; deve essere vigilante in corsia, pronto ad ogni richiesta fino a prevenirla; deve essere attento a ricevere ed eseguire gli ordini del medico e deve, quindi, impegnarsi a mantenerlo informato di quanto si manifesti di nuovo e di imprevisto nel malato; deve essere squisitamente materno nell’assistere l’infermo che mangia; amoroso e diligente nel rifacimento dei letti; tutto cuore e occhi nell’aiutare il malato a scendere dal letto; avvertito a nettarlo nel letto quando impedito; “non deve dimostrare ribrezzo e deve cambiare la biancheria dell’infermo di buon animo e con cuore generoso”; impegnato, infine, nel mettere tutta la diligenza possibile nell’aiutare a “ben morire”.

L’infermiere deve svolgere le proprie mansioni con “natura e grazia” poiché solo così si può essere un perfetto modello di infermiere; deve rispettare il paziente in maniera “olistica”, ossia dal punto di vista sia fisico che psicologico.

L’infermiere deve possedere una “capacità di auto superamento delle proprie vicende per portare una carità gioiosa e con ardore”; egli deve essere: “schiavo e ministro di fronte ai malati”; non deve fare “distinzione di persone e, se si deve fare preferenza, è per i poveri e per i malati”.

L’assistenza infermieristica deve essere svolta in modo tale da non far sentire il malato come un peso; l’infermiere non deve mai “lamentarsi del malato” e non deve mai “lasciare questo senza avere pienamente e interamente soddisfatto tutti i suoi desideri e bisogni”; per poter effettuare tutto questo, è importante usufruire dell’équipe assistenziale.

In conclusione possiamo affermare che “al povero bisogna guardare come alla persona del Signore”.      

 

Nel Tezza si trova una tensione costante e massima all’ideale di vita. A guidare il cammino di formazione verso il raggiungimento di questo ideale, non è tanto la formazione della volontà come potrebbe sembrare a prima vista, ma l’amore appassionato per lo stesso ideale di vita ritenuto centro e forza gravitazionale di tutte le altre energie dell’uomo.

Osserviamo, dunque, un Tezza che punta alla metà e vi si dirige decisamente con la forza del cuore, che a sua volta trascina dietro a sé l’intelligenza e la volontà, infatti, nella sua vita e nella sua opera di formatore egli chiese il massimo a se stesso e agli altri per raggiungere ciò che fortemente si vuole e si ama. Questo massimo in ogni cosa è il BOF o “Bene omnia fecit”, cioè, far bene ogni cosa, con il massimo impegno possibile. Possiamo, dunque, affermare che la pedagogia del Tezza è “la pedagogia del Bene omnia fecit”.

Una pedagogia che non ammette mezze misure, pur riconoscendo la necessità di un cammino e di una metodologia per raggiungere l’obiettivo.

All’interno di questa pedagogia sono stati individuati tre pilastri metodologici che la sostengono:

  1. educare e fortificare la volontà della singola persona attraverso la fedeltà indiscussa al proprio dovere;
  2. conoscere ogni persona e guidarla al raggiungimento della propria meta con gradualità e pazienza;
  3. stimolare a progredire nel cammino intrapreso, servendosi degli aspetti positivi già esistenti in ogni persona.

Il Tezza, e di conseguenza la “pedagogia tezziana”, si dichiara implicitamente ed esplicitamente nemica dell’ignoranza voluta per negligenza; dell’indolenza; della maleducazione; della durezza nei modi e nelle relazioni con gli altri; della freddezza dei rapporti interpersonali e del disordine o incuria sia personali che degli ambienti dove si vive.

È una pedagogia che non etichetta nessuna situazione né persona, ma rimane incredibilmente aperta al cambiamento in positivo di tutto e di tutti; una pedagogia realisticamente e cristianamente ottimista, dove l’ultima parola sui singoli soggetti appartiene a Dio, l’unico che ha in mano i cuori e le intelligenze degli uomini: “[…] faccia pregare assai [così scriveva] perché Iddio solo è il padrone dei cuori e delle volontà.”[1]

Crediamo d’avere molto da imparare da p. Luigi Tezza, e soprattutto molto da lavorare seguendo le sue orme come Formatore non solo nelle scuole per infermieri e nella formazione delle cento braccia della carità, ma in qualsiasi ambiente ci troviamo.

 

IDEALE

 

 

Dimensione affettiva
 

                                                                                    

intelligenza                                                                                   volontà

 

 

“B.O.F.”

Pedagogia di p. Luigi Tezza

 

“in ogni cosa il massimo di noi stessi”

 

 

 

stile elegante                        stile vigoroso

                            ed elevato                   

 

 

 

 

 

formazione                  conoscenza della persona                      far leva

della volontà                        e gradualità                                   sul                                                    nel cammino                                   positivo

                                     

                                              

 

 

 

 

 

 

ignoranza-maleducazione-durezza-indolenza-disordine-freddezza

 

[1] ibidem, 156.

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